lunedì 2 ottobre 2017

Cesure

Cesura. Pausa. La musica si ferma per un istante, la poesia anche.
La mia cesura sei stata tu, dolce amica. La tua vita logorata, la morte di tua figlia, come un angelo senza più ali, ferma sul letto d'ospedale. 
La mia vita si è spezzata un po' con il tuo dolore di madre, madre che vede morire la sua piccola e l'abbraccia, ma è troppo tardi.
La morte dei figli, il male che ci divora dentro come un cancro e cresce, non s'arresta.
E così è stato, lui ti ha presa e portata via da me, da noi.
La mia cesura. Giugno 2015. Da allora non sono più giovane, ma sono vecchia. La mia vita abitata da fantasmi; io, amata, superstite.

L'altra cesura è precedente. Nell'estate del 2011, in mezzo alla Toscana assolata, nei campi di grano sterminati io perdo te, papà. Tu sei la mia infanzia e la mia adolescenza. Sei l'uomo che prima ho odiato e poi amato, sei l'uomo che è caduto e ha saputo rialzarsi. Sei la persona più forte che io abbia mai conosciuto e mi manchi come l'aria. Le tue parole, il timbro unico della tua voce, le tue idee, il tuo essere splendidamente anarchico, la tua voglia di farcela, nonostante l'ictus; tu. Tu, mi manchi.

Le cesure ci accompagnano. Sono attimi in cui tutto si ferma, si congela. La nostra storia poi riprende, eppure è diversa, perché noi siamo cambiati. Irrimediabilmente. Non si può tornare indietro, riavvolgere la pellicola.
Il film va avanti, ci rimangono i ricordi, immagini perse nella nebbia, voci sussurrate e tutto l'amore che ancora ci brucia dentro.









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