domenica 31 dicembre 2017

Isidora, l'ultima città

All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città.
Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città.Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro.
I desideri sono già ricordi.


Italo Calvino, Le città invisibili.

Ho visto Isidora. Era inverno ed ero stanca. La mia vita sbriciolata in poesie incomplete, i miei piedi pesanti, le mani piene di crepe. Ora le mie dita si spezzeranno, cadranno una a una.
Che ne sarà di me, mi dicevo, mentre scendevo dal treno. E poi mi apparve lei. Isidora. La città del male e del perdono.

Finestre incrostate di muschio, balaustre affacciate su cieli spaccati da nuvole, porte aperte su interni bui in cui gatti ricorrevano farfalle tardive. 

A Isidora il tempo è più lento. I suoi abitanti ti osservano pensosi, benevoli, ma inquieti. A Isidora non c'è la pace. 
Il mare era lontano, un'ombra blu, irraggiungibile.
Avevo perso tutto, potevo solo ricominciare una storia che non conoscevo. 
Camminai per ore, mi persi nei vicoli, i muri erano scuri, creature minerali e vegetali, erano tronchi ed erano pietre. 
Avevo paura, ad Isidora.


Le chiese erano abitate da angeli enigmatici, cherubini paffuti, donne altere velate, uomini di marmo, armati di spade e bastoni, teschi. È la città dei morti, pensai, questa è la fine. 

Ma non era così, svoltai l'angolo e mi accorsi che non ero più sola. 
- Mi sono perduta - disse la bambina.
Aveva occhi celesti e capelli neri, come l'ombra.
- Povera piccola, come ti chiami? -
- Isidora - disse.
Aprì la mano. C'erano tre conchiglie bianche.
- Non ti preoccupare, ti riaccompagno io a casa -
- Io non ho una casa, io non ho una famiglia -
- Allora siamo in due adesso -
In quella città ho scoperto chi sono. A Isidora mi sono smarrita e mi sono ritrovata, più nuova, più vecchia.






domenica 17 dicembre 2017

Uniti e spezzati

È Natale, ancora. Senza di te che sei il mio passato, le diapositive della mia infanzia, il perdono ricevuto, il perdono offerto.
Tu, che sei stato così sbagliato. Tu, che hai deciso di distruggerti. Tu, che ci dicesti: partirò per un lungo viaggio, ma vi vorrò per sempre bene.
Tu che sei morto e poi risorto. In quel letto bianco d'ospedale, non ci riconoscevi. Dovevi ricominciare tutto da capo.
Tu, che hai lottato e hai vinto tutte le battaglie. Io ti odiavo, poi ti ho amato.
Tu, ribelle sempre, fino in fondo, fino alla fine.
Tu, che ci hai raccontato storie di donne combattive e superiori all'uomo, tu, ironico, beffardo.
Tu, che mi hai insegnato il piacere del camminare, del correre perchè non potevi farlo più.
Eppure non stavi fermo, volavi nei tuoi libri. La tua stanza era piena di nuvole, aerei di carta, porte aperte sull'infinito.
 È Natale un'altra volta per noi e per te. È Natale e dobbiamo imparare a convivere con le assenze. Ci stringiamo le mani, uniti e spezzati.
Buon Natale a te, a lei, a voi, a noi.
(Se vedi delle crepe sul mio viso non sono semplici rughe, sono solo le tracce dei ricordi).